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LÈONIDA COME VIRGILIO
Estratti...
... Ciò che si vede calpestando il vecchio e primitivo sentiero che conduce fino alla costa più irta ed impervia che si possa immaginare, un tempo autostrada per i viandanti, i contrabbandieri e i contadini coi loro prodotti genuini e sudati, è un ammasso di verde e terra, pietre e spiragli di luce filtrati dai fitti rami. A tratti, ma solo sulla parte alta della “ccurtatura da stazioni”, l’occhio si posa su piccole finestrelle azzurre sparse qua e là, oblò che offrono la vista di un mare e di un cielo che si fondono miracolosamente all’orizzonte. Ho abitato in quel quartiere, alla cui porta principale veglia e fa da sentinella una piccola Madonnina custodita dentro una nicchia. Raffigura Maria SS del Carmelo e, come in altri luoghi della città, rappresenta il miracolo che la Vergine compì nel lontano 1782, il 16 di novembre, quando protesse i palmesi dalla furia del terribile terremoto. Ci ho vissuto da bambino e da adolescente, nel pieno sviluppo di quei vigorosi atti di scoperta di ogni sito o anfratto della mia città; soprattutto quelli più selvaggi. E di selvaggio odorava tanto quel sentiero.
. . .
Attendo il vento che spazza...
Io canto
di questa mia terra,
rupe nella rupe,
dipinta con colori
di mille sfumature
e di mille dolori.
Io vivo
dei sapori che da,
dei profumi inebrianti,
della frescura dei monti,
della calura ai mari
dei silvestri tramonti.
... continua
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LEONIDA COME VIRGILIO
Di Paolo Ventrice - Prometeus Edizioni
La Prefazione di Arcangelo Badolati
I luoghi dell’anima. La carezza delle brezze marine, i profumi lasciati filtrare dalla terra e dalle piante, gli scorci sublimi, i colori di certi luoghi, le immagini legate alle fantasie della giovinezza, segnano la vita di ciascun uomo nato in riva alla Costa Viola.
Le corse a perdifiato per i sentieri appena accennati tra i mirti e i cespugli di more, i bagni rubati ai primi soli di primavera tra gli scogli scivolosi della Marinella o di Rovaglioso, l’immagine misteriosa e sfuggente d’una principessa senza regno assiepata sotto la torre di Taureana, la pietra larga e piatta che racconta d’un feroce pirata punito dalla gente stanca di soprusi e violenze, la pelle salmastra bruciata dai raggi potenti d’infinite giornate di giugno e i sogni affidati a settembre alle mille lampare che tempestano il mare di piccole luci, svelano la forza creativa d’un poeta nascosto.
Paolo ha un animo gentile che s’alimenta nell’universo incantato donato da una natura generosa e selvaggia. Una natura che è stata ed è madre benigna dei ragazzi cresciuti guardando un vulcano incastonato all’orizzonte su un immaginario trono posto a ponente.
Una natura che da bambino ti ha insegnato ad essere amico del Maestrale e dello Scirocco, delle burrasche come della bonaccia, del caldo intenso e del freddo pungente, delle nubi scure e incombenti come del cielo indaco bucato dai gabbiani.
Nei versi e nei racconti di questo figlio di Palmi, schivo e geniale, c’è la vita meravigliosa di ciascuno di noi.
Mi viene in mente quanto scrisse Corrado Alvaro, dichiarando amore eterno al suo posto: «Nella mia casa di San Luca alta come un torrione la vita era così bella che la notte non dormivo aspettando il giorno che doveva venire».
Paolo ci porta per mano tra i nostri “torrioni” riprendendo il filo invisibile - a volte colpevolmente interrotto - tra l’infanzia spensierata e sognante e l’adulta età forse più malinconica e pragmatica. Usa la poesia, i miti e le leggende per aiutarci a riprendere a correre tra le vie della bellezza, mostrando una generosità artistica della quale dovremo essergli grati per sempre.
Nel suo ritmo narrativo, nella forza delle parole, ritrovo i tratti ed i luoghi, le visioni e la viscerale passione di Leonida Rèpaci. Il Maestro della Pietrosa vedeva le medesime cose e sentiva il bisogno di trasformarle in letteratura. Il trasporto era tale da indurlo a immaginarsi, un giorno, parte egli stesso di quei luoghi: «La pietra era stata aggredita da un favoloso germogliare di oleastri, di fichidindia, di agavi, di mentastri, che aveva trasformato le cose in un verde broccato. Così accadrà di me...».
Paolo ci aiuta a immaginare che ciò possa accadere davvero, magari affidandoci al percorso segnato dalle mille e mille parole che diventano dolci compagne durante la piacevole lettura di questo volume. “Io canto” annota con quasi malcelata timidezza:
«...di questa mia terra
rupe nella rupe,
dipinta con colori
di mille sfumature
e di mille dolori...».
E noi vogliamo cantare con lui. E con noi dovranno cantare quelli che verranno.
Perché nulla del nostro “luogo” finisca smarrito tra le pieghe del tempo...
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